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Chiesa della Santissima Trinità

PARROCCHIA SANTISSIMA TRINITA`

Piazza Abate Marino, 6
85057 - Tramutola (Pz)

Parroco: don Vincenzo Pizzo
parrocchiatramutola@gmail.com

*LE ORIGINI DELLA PARROCCHIA E IL SUO INSCINDIBILE LEGAME CON L’ORDO CAVENSIS*
“Tra le deboli e confuse memorie che ci restano della fondazione dei luoghi del nostro Regno, risplende l’origine di Tramutola, grossa terra in provincia di Basilicata. Che sia stata opera de’ Monaci della SS.ma Trinità della Cava, non prima della metà del secolo XII, è chiaro per la storia e la diplomatica, e sicuro si rende dal detto de’ suoi Cittadini!”
Così scriveva il Ventimiglia, illustre giurista del secolo XVIII, nella sua: “Difesa storico-diplomatico-legale della giurisdizione civile del Sacro Real Monastero della SS. Trinità della Cava nel Feudo di Tramutola” (Napoli, 1901). E, in effetti, per conoscere le origini e le peculiari vicende della nostra Parrocchia, occorre volgere lo sguardo agli otto secoli e mezzo di storia della Chiesa Madre Arcipretale della Santissima Trinità, il luogo di culto più grande della Valle dell’Agri e tra gli edifici sacri più imponenti dell’intera Lucania. Un viaggio a ritroso che, tra alterne vicissitudini, ci conduce a perderci nella notte dei tempi della nascita della nostra Comunità e che è inscindibilmente connesso alla fondazione stessa di Tramutola: dunque, intraprendere questo viaggio nel tempo equivale a narrare l’incipit stesso del Popolo Tramutolese. Ne è prima e palese dimostrazione la stessa peculiare ed eccentrica collocazione extra moenia – un unicum, per la nostra Valle! – della Chiesa Arcipretale della Santissima Trinità, del tutto inusuale rispetto alla consueta e nota forma urbis dei nostri borghi, all’interno dei quali, solitamente, la Chiesa Matrice – unitamente al Palazzo sede dell’Autorità Civile - occupa il baricentro. Al contrario, la nostra Chiesa si distingue per la sua separatezza dal centro storico del paese e questa sua singolarità è frutto e diretta conseguenza delle origini di Tramutola, che si fanno risalire all’opera dei Monaci Benedettini appartenenti all’antico e potente “Sacro e Reale Monastero della Santissima Trinità di Cava de’ Tirreni”, che ha segnato i destini di questo lembo di terra in maniera del tutto peculiare e distinta dalle sorti di tutti gli altri paesi viciniori. Da documenti del luglio 1136 si apprende che in una località propriamente detta “San Pietro”, collocata poco a ridosso dell’attuale Chiesa Madre - e della quale, a tutt’oggi, si conserva memoria nella toponomastica del luogo -, sorgeva un piccolo cenobio dedicato a San Pietro, probabilmente di rito bizantino, retto dal monaco basiliano Ugo, che costituiva anche da prezioso ricovero per i viandanti che transitavano per la vallata della futura Tramutola. Tale Chiesetta – probabilmente edificata negli anni anteriori al 1000 e della quale non ci è pervenuta alcuna traccia dal momento che, gravemente danneggiata dal terremoto del 1729, non fu più restaurata e, in seguito, nel 1768, affinché non divenisse rifugio di malviventi, venne demolita e i suoi arredi sacri e statue trasferiti in Chiesa Madre e nelle altre Cappelle del borgo - era dotata di un cospicuo patrimonio terriero e ciò, unitamente alla sua nevralgica ubicazione – essendo collocata in una zona di frontiera tra le Valli dell’Agri e del Tanagro, in posizione intermedia tra le due antiche Diocesi di Marsico e di Satriano -, suscitò l’interesse dei Monaci Benedettini dell’Ordo Cavensis, che, con lungimiranza, riconobbero nella nostra vallata un naturale ed agevole tramite per raggiungere, dal Cilento, le loro colonie o Monasteri nell’antica Lucania ma anche nelle Calabrie e nelle Puglie, rafforzando, conseguentemente, la presenza della loro Congregazione in questi territori. Nell’anno 1144, un monaco cavense di nobili origini, Giovanni – illustre figlio di Marsico Nuovo, parente e cappellano del conte Silvestro (secondo alcune fonti, ne era il figlio cadetto) -, che conosceva bene la chiesetta di San Pietro, in nome e per conto dell’Abate di Cava, il beato Falcone, chiese al Vescovo di Marsico, Giovanni II, la concessione dell’antico cenobio, allo scopo di renderlo più accogliente, costruendo anche un monastero, come hospitium per i monaci di passaggio che transitavano per la valle, perseguendo, probabilmente, un preciso progetto di insediamento. Nel maggio di quello stesso anno, il Vescovo Giovanni concesse tale facoltà, donando all’Abate Falcone e ai suoi monaci il pieno possesso della Chiesa di San Pietro e di tutti i beni ad essa annessi. Per rinunciare ai propri diritti, la Diocesi Marsicana ottenne una libra di cera, una d’incenso ed un maiale all’anno. Ma la richiesta Cavense non si limitò alla sola giurisdizione spirituale sull’antico tempio di rito greco: difatti, il monaco Giovanni, che possiamo considerare a tutti gli effetti il Padre Fondatore della nostra Comunità, chiese ed ottenne, dal Vescovo marsicano, anche la liberazione dei benefici della piccola Chiesa dalla giurisdizione di feudatari e patroni laici, solitamente causa di disordini e sopraffazioni. E, in effetti, i benefici che ne sarebbero venuti dalla presenza degli operosi figli di San Benedetto, convinsero i vari vassalli locali a rinunziare ai loro beni nelle mani del Vescovo. Trasferendosi dall’antica “Grotta Mètelliana”, nel 1145 giunsero, così, i primi Monaci, per dar vita ad una comunità e alla fondazione del Monastero e, al contempo, i primi coloni – provenienti anche dall’antico feudo di Monticello o di “Tramutola vecchia”, verso Saponara di Grumentum, che fu distrutto dalle orde saracene che imperversavano nel Meridione d’Italia -, per dissodare e coltivare i terreni. Dopo una serie di cospicue donazioni che si susseguirono negli anni seguenti, nel novembre del 1153, con un atto del notaio Lamberto e con la definizione dei limiti del possedimento, venne ufficialmente costituito il nuovo Feudo di Tramutola: difatti, in forza del privilegio del Duca Ruggiero I all’Abate di Cava, le terre donate dai feudatari alla Badia, in assenza di nuova conferma del sovrano, divenivano a pieno titolo feudo abbaziale. L’anno seguente, nel 1154, il monaco Giovanni ottenne dal Conte di Marsico, Silvestro, ulteriori ed estese concessioni di latifondi, che conferirono un assetto definitivo al Casale Tramutolese sorto intorno alla Chiesetta di San Pietro. I coloni ricevettero in proprietà case e terre e, in cambio, erano tenuti a prestare una giornata lavorativa a settimana al servizio del Monastero. Verso il 1160, alla morte del Vescovo Giovanni II, venne eletto alla guida della Chiesa Marsicana proprio il monaco Giovanni che, in quanto benedettino, rafforzò ulteriormente i legami del nato Feudo di Tramutola con la Badia di Cava. Da documenti notarili dell’epoca emerge come, negli anni immediatamente successivi al primo insediamento dei Benedettini, si verificò un notevole incremento demografico, certamente dovuto al richiamo esercitato dalla presenza dei Monaci sui contadini, che preferivano mettersi sotto la defensio del potente Abate di Cava per sottrarsi alle angherie dei signorotti locali: proprio la dipendenza feudale dall’Abate benedettino di Cava e non da un principe laico fu l’asso nella manica per la progressiva crescita e lo sviluppo di Tramutola, le cui condizioni socio-economiche cominciavano ad essere marcatamente migliori di quelle che, in quel medesimo periodo, rendevano ben dure – se non drammatiche – la situazione delle popolazioni limitrofe. Difatti, i Benedettini incoraggiarono in tutti i modi la graduale crescita del piccolo Borgo: fecero bonificare le contrade circostanti, sovente paludose; rimboschirono i monti limitrofi; promossero ogni possibile coltura agricola, compresa quella del gelso, e incentivarono l’allevamento del baco da seta che, unitamente al lino, alla canapa e ad una cospicua produzione tessile, saranno per secoli i pilastri dell’economia locale. Il costante sviluppo del Feudo indusse il nuovo Abate di Cava, il beato Marino, in visita a Tramutola, a constatare l’insufficienza della vecchia Chiesetta di San Pietro, dal momento che la popolazione del Casale era notevolmente accresciuta. Fu così che l’Abate Marino, nel 1163, avviò la costruzione, ex novo fundamine, di una nuova Chiesa più grande, di poco discosta da quella primitiva di San Pietro, contigua al Monastero eretto tra il 1153 e il 1154, su un poggio poco rilevato. Nell’Anno del Signore 1166 questa nuova Chiesa, edificata in stile Romanico, venne consacrata dal neo Vescovo di Marsico, Giovanni – in vece dell’Abate Marino -, ad honorem Sanctae Trinitatis, conferendole, dunque, il medesimo Titolo di Dedicazione della Chiesa Abbaziale di Cava de’ Tirreni, segno tangibile di un privilegiato legame: del resto, i Monaci Cavensi, essendo il loro Abate il padrone del Feudo di Tramutola ed, altresì, l’Ordinario per la parte spirituale – tant’è che, all’interno della Chiesa, era collocato il trono ligneo abbaziale, che veniva solitamente occupato dal Vicario dell’Abate, il quale viveva a Tramutola quasi stabilmente -, dimostrarono sin da subito grande attenzione al decoro e all’abbellimento della nuova Chiesa della Trinità. Questo, dunque, fu il primissimo ed originario nucleo della nostra Chiesa Madre, lungo appena 15 metri; ma di questo primitivo impianto nulla ci è rimasto, se non la sua collocazione all’interno di un complesso abbaziale di tipo fortificato, la cui separatezza dal resto del centro abitato era sottolineata dall’unico varco di accesso, costituito dall’ampio arco – probabilmente dotato di fossato e di ponte levatoio -, sul quale poggiavano le torri dell’Abbazia e della corte civile. Sicché, da quel lontano 1166, la Chiesa Matrice è stata ininterrottamente il centro focale della vita spirituale dei Tramutolesi e il Monastero – poi ristrutturato nel corso del XVI secolo -, all’interno della quale, a mo’ di preziosa perla, è incastonata, ha rappresentato per secoli il cuore pulsante della vita sociale ed economica del nostro Borgo ma, soprattutto, il baricentro del potere temporale esercitato dagli Abati Cavensi sul loro amato Feudo di Tramutola. L’Abate di Cava esercitava il suo governo mediante un Vicario, per gli affari ecclesiastici; ed un “Bajulo”, per tutti gli aspetti fiscali e finanziari. I capi delle famiglie potevano far sentire la loro voce attraverso una sorta di piccolo “Parlamento” cittadino, che si radunava due volte l’anno. Solo a seguito dell’emanazione delle leggi eversive della feudalità, del 6 Agosto 1806, l’Abate verrà privato del titolo di Barone di Tramutola e, dunque, dell’esercizio della giurisdizione civile e penale sulla nostra Comunità; a partire da quella data, egli rimase in possesso della sola giurisdizione spirituale, che si è protratta sino al 1972, allorché la Parrocchia di Tramutola venne unita alla Diocesi di Potenza-Muro Lucano-Marsico Nuovo.
Contatti
  • Responsabile
    Pizzo don Vincenzo
  • Email:
    parrocchiatramutola@gmail.com
  • Orari di Apertura
    8.00 - 20.00

Parrocchia Santissima Trinità Tramutola
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